Prodotto tipicamente marchigiano, interessa solo una ristretta zona enologica che si individua in gran parte della zona centro-meridionale della Regione Marche che dalla catena appenninica scende al mare; l’area di produzione si estende appunto in quel territorio del Piceno facente parte delle province di Ascoli Piceno e Macerata, che dal fiume Tronto arriva al Potenza. All’interno di questo territorio la produzione è ottenuta secondo una tecnica tramandatasi dagli antichi metodi di preparazione e di invecchiamento che ancora oggi permette di ottenere una bevanda dalle singolari caratteristiche organolettiche, dal sapor d’uva passa, calda al solo sguardo, morbida al palato, unica per il senso di benessere che insorge con la sua degustazione.
Definito in dialetto “vìcotto”, il vinocotto è bevanda antichissima, in cui rivivono tanti elementi della nostra tradizione e della nostra cultura: il mosto delle uve locali viene bollito a fuoco diretto in caldaie di rame fino a farne evaporare un terzo circa, durante questo processo affiora una schiuma, sostanze proteiche e impurità. Dopo essere stato schiumato, il concentrato così ottenuto viene lasciato raffreddare e messo a fermentare in barrique di rovere francese dove viene conservato per anni rabboccandolo ad ogni vendemmia.
Il vino cotto era sempre presente sulle tavole nei giorni di festa, come segno di ospitalità quando si ricevevano visite e veniva utilizzato per recuperare energia dopo i lavori più faticosi come quello della mietitura. Testimonianze dell’antica preparazione si trovano già nel 200 a. C. con Plauto e nel I secolo a. C. con Plinio il Vecchio che lo citano come tra le più antiche e ricercate bevande prodotte nella Penisola. Plinio parla anche di un preciso calendario lunare da seguire per la sua produzione. A sottolineare come il vino cotto non abbia nulla a che vedere con il vino è Plinio il Vecchio che, nella sua Naturalis Historia, scrive: “… i cotti hanno il sapor loro e non quello del vino”. Anche gli imperatori romanila gustavano a conclusione dei banchetti. Nel 1534 Sante Lancerio, bottigliere di Papa Paolo III, lo suggerisce per l’utilizzo durante la messa proprio per la sua qualità. Le testimonianze storiche sulle qualità del vino cotto marchigiano sono davvero tante. Ad evidenziare poi i benefici di questo prodotto, mettendo in luce quanto i “consigli della nonna” non fossero così sbagliati, ci ha pensato la Facoltà di Agraria dell’Università di Teramo. Uno studio, infatti, ha documentato le proprietà antiossidanti del vino cotto, capace di combattere i radicali liberi, prevenire malattie cardiovascolari e tumori. Il segreto di queste virtù, secondo i ricercatori, risiederebbe nella caramellizzazione degli zuccheri durante la pastorizzazione del mosto.